mercoledì 26 marzo 2008

domenica 16 marzo 2008

pittura binoculare

La pittura binoculare trae ispirazione dalla prospettiva binoculare. Di essa, io mi rifaccio soprattutto alla geometria dello spazio e all’acuità visiva. Quando guardiamo un oggetto, dobbiamo stare attenti alla circonferenza che passa da questo oggetto e dai i nostri occhi (per tre punti passa una sola circonferenza) perché gli oggetti che si trovano su di essa li vediamo singoli, cioè una sola volta, come se fossero visti da un solo occhio ed in tre dimensioni. Gli oggetti che sono dentro questa circonferenza, perché più vicini dell’oggetto guardato e fuori dalla stessa, perché più lontani dell’oggetto guardato, li vediamo doppi. Per renderci conto di ciò mettiamo il dito di una mano vicino agli occhi, un altro dito dell’altra mano più distante: quando guardiamo il dito vicino vediamo doppio il dito lontano e viceversa.

Uno dei motivi per cui non ci accorgiamo di questo è da cercare nell’acuità visiva, che non è quella dell’oculista, la nostra è dovuta alla struttura dell’occhio che ci fa vedere bene solo un punto: il centro del campo visivo. Anche di questo l’uomo non ha coscienza perché gli occhi si muovono in continuazione, sia volontariamente sia in modo automatico senza alcuna coscienza.

La necessità della pittura binoculare nasce dal fatto che nel 1925 è stato pubblicato un libro dal titolo “La prospettiva come forma simbolica” di Panofsky, dove si afferma che noi, vuoi per la forma sferica dell’occhio, vuoi per il movimento rotatorio della testa, vediamo in prospettiva sferica. Da allora, nel mondo degli studiosi di arte, è nato un acceso dibattito sulla questione ed ormai è dato per scontato, senza alcuna prova, che l’uomo vede secondo le leggi della prospettiva sferica. La pittura binoculare, rifacendosi alla prospettiva binoculare del campo medico scientifico, vuole affermare che noi non vediamo un mondo piatto con degli indici di profondità, cioè non vediamo la prospettiva, bensì vediamo la profondità.

Fatta questa premessa, vediamo un quadro binoculare. Le foto mostrano un soggetto rurale nella prospettiva consueta, sopra, nella pittura binoculare, sotto.






























Bisogna distinguere due circonferenze, prima avremmo detto due piani. Quella del glicine, che sto guardando, che perciò vedo in tre dimensioni e fatta di oggetti singoli, nella quale si trova anche il pilastro; e quella del cancello del vicino, che fa da sfondo, e perciò fatta di oggetti che vediamo doppi. Poi bisogna distinguere il centro, dove l’acuità visiva è massima, dalla periferia, dove l’acuità visiva è minima.
























Per questo motivo dipingo il centro con le regole della copia dal vero, a piccole macchie, con colori intensi e dando molta importanza al disegno, che dona incisività. La periferia la dipingo invece a larghe macchie, con colori poco intensi e senza disegno. Però bisogna tenere presente che, per l’opera analizzata, lo sfondo si trova su una circonferenza di oggetti che vediamo due volte, una volta per ogni occhio, perciò gli oggetti sono dipinti due volte, in un gioco di traslazione in parte nascosto dall’acuità visiva.

Per questo motivo il quadro binoculare deve essere guardato al centro, senza allontanarsi molto da esso, ad una distanza tale che l’opera occupi buona parte del campo visivo. Così avrete la sensazione di trovarvi in uno spazio tridimensionale. La parte centrale del quadro va vista con la parte centrale della retina, la fovea, mentre la parte periferica del quadro va vista con la parte periferica della retina, dove ci sono i bastoncelli. Se tutto questo vi incuriosisce potete approfondirlo al seguente indirizzo internet:

binoculare.altervista.org
Sarete benvenuti, nino venezia

domenica 9 marzo 2008

manifesto


introduzione

La prospettiva binoculare è stata scoperta nel 1840 da Gerard Vieth e da Peter Muller, che hanno scoperto l'oroptero. Ogni essere percepisce due prospettive ma c’è un software alla base che le fa diventare una sola. Ciò avviene attraverso due processi di cui uno è quello della soppressione, cioè le parti di prospettive che non interessano vengono soppresse, ignorate, l’altro è quello della fusione, le due prospettive vengono fuse per dare luogo alla stereopsi, il rilievo.

Da allora si è evoluta in parallelo al cammino della tecnica. A metà novecento è stato possibile registrare l’attività delle singole cellule interessate alla visione, e capirne meglio così alcuni meccanismi.

Le scoperte della prospettiva binoculare hanno interessato poco il campo pittorico, dove ancora si discute se la prospettiva che vediamo è quella piana, o quella sferica. In sintesi il problema è questo: se le rette le vediamo rette, vediamo la prospettiva piana, in tal caso dovremmo vedere le aberrazioni ottiche. Dato che non le percepiamo, vuol dire che vediamo la prospettiva sferica, che non soffre di aberrazioni ottiche. Però in tal caso, le rette le dovremmo vedere curve, e non è così. Per questo motivo la discussione è ad un punto di inconsistenza.

La prospettiva binoculare risolve il problema dicendo che noi non vediamo in prospettiva, vediamo in tre dimensioni, vediamo la profondità. Essa distrugge anche il vantaggio di chi giustifica la prospettiva sferica, con la forma sferica dell’occhio, in quanto dice che la visione non dipende dalla forma dell’occhio, ma unicamente dal software e dall’oroptero. Il termine software significa soffice, spirituale, qui viene utilizzato per intendere il carattere delle operazioni mentali.

La pittura binoculare fa proprie le scoperte della prospettiva binoculare, che sostituisce i punti di fuga e i gradienti di profondità con la soppressione e la fusione, con le quali nasce un nuovo concetto di spazio, non quello omogeneo e infinito della prospettiva piana, quello va bene per la geometria descrittiva, nemmeno quello soggettivo e visionario espressionista, che perde il rapporto con la realtà, bensì uno spazio soggettivo nel senso che è fatto delle nostre attenzioni, che vive in rapporto alle nostre aspettative. Non solo ente geometrico, non solo ente psicologico, ma insieme geometrico e psicologico.

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L’attenzione

Ci sono degli animali che hanno gli occhi ai due lati della testa, uno è a destra e l’altro è a sinistra, avendo due visioni prospettiche totalmente indipendenti. Questi animali non fanno confusione tra oggetti sulla loro destra o sulla loro sinistra, perché c’è un software che sopprime parte delle due prospettive facendole diventare una sola in relazione ad uno scopo. Anche noi possiamo metterci in questa condizione per capire meglio la situazione, mettendo davanti ad uno dei nostri occhi, per esempio il destro, uno specchio in modo tale da avere nel sinistro la visione frontale e nel destro quella laterale. Poi facciamo sedere davanti a noi un amico, che vediamo con l’occhio sinistro, mentre alziamo il braccio destro che vediamo con l’occhio omonimo attraverso lo specchio.



Quando muoviamo la mano destra scompare la visione dell’occhio sinistro, il nostro amico non lo vediamo più, tranne gli occhi. La nostra mente tiene presente il movimento della mano, visto con l’occhio destro, e gli occhi dell’amico, visti con l’occhio sinistro, in quanto possono rappresentare un pericolo. La prospettiva binoculare, in questo caso, è l’unione delle due prospettive attraverso lo scopo “attenzione al pericolo“. Questo è il meccanismo della soppressione, che enfatizza gli oggetti a cui prestiamo attenzione e ignora tutto il resto cancellandolo.

Un altro aspetto dell’attenzione è il centro, nel senso che quando rivolgiamo l’attenzione ad un oggetto, questo diventa il centro del nostro campo visivo, il punto di vergenza, così si chiama l’oggetto su cui convergono gli occhi, che ruotano nell’orbita oculare. La corteccia visiva sovrappone le due prospettive con un processo di integrazione, facendo coincidere i due punti principali, che diventano il centro del campo visivo.

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Lo spazio

Le due prospettive hanno in comune il sistema di riferimento: la linea di terra, la linea di orizzonte e il punto principale. La linea di terra, che rappresenta il piano di appoggio dei piedi, e la linea di orizzonte, che rappresenta l'altezza degli occhi dell'osservatore, sono in comune perché sono uguali per entrambi gli occhi. Il punto principale perché ha la stessa funzione della fovea nell’occhio. Come il punto principale è il centro del cerchio ottico sul quadro, così la fovea è il centro della retina. I due punti principali coincidono in quanto le due prospettive vengono sovrapposte nella corteccia visiva con un processo di integrazione.

Nella rappresentazione ortogonale del piano orizzontale fissiamo a piacere tre punti non allineati, due vicini che rappresentano gli occhi, uno più lontano che rappresenta il punto guardato. Essi formano un triangolo. Poi tagliamo i due lati del triangolo con due rette perpendicolari ai rispettivi lati, ad una distanza a piacere dai vertici. In questo modo abbiamo fissato gli estremi per le due prospettive, infatti abbiamo costruito due punti di vista, un punto oggetto da guardare e i due quadri.

I punti in comune che hanno le due prospettive formano un cerchio, che si chiama oroptero, e si trova sul piano che contiene gli occhi e il punto guardato.


Ciò significa che quando guardiamo un punto, tutti i punti che si trovano sulla circonferenza che passa dall'oggetto osservato e dai nostri occhi li vediamo come se fossero visti da una sola prospettiva, perché nei punti dell'oroptero le due prospettive combaciano. Nello stesso tempo i punti che si trovano dentro e fuori dal cerchio si sdoppiano. Per verificare questo basta mettere un dito più vicino ed uno più lontano, quando si guarda il dito vicino si sdoppia quello lontano e viceversa. La distanza tra le due immagini dello stesso punto si chiama, disparità crociata se il punto è più vicino del punto di vergenza, non crociata se è più lontano.

Siccome ad ogni valore della disparità corrisponde un oroptero, la mente sa sempre a quale oroptero appartiene un punto, di conseguenza, per ogni punto, conosce la collocazione nello spazio.

Ciò significa che il cervello non sovrappone semplicemente le due prospettive dei due occhi quando guardiamo un oggetto. Se la disparità è crociata, vediamo un solo punto, però più vicino rispetto al punto di vergenza. Se la disparità non è crociata, vediamo una sola immagine, però più lontana rispetto al punto di vergenza. Questo miracolo operato dal cervello si chiama fusione. Essa è la capacità del cervello di costruire una mappa tridimensionale dello spazio che ci circonda. In altre parole noi non vediamo in prospettiva il mondo che ci circonda, lo vediamo in tre dimensioni; non vediamo un mondo in prospettiva, cioè piatto con degli indici di profondità, bensì lo vediamo in profondità.

Il cervello non riesce ad operare la fusione per tutti i punti dello spazio, opera la fusione solo per i punti oggetto che si trovano in prossimità dell’oroptero, è come se esso avesse uno spessore, un’area, la quale si chiama area di Panum. Dagli esperimenti fatti risulta che essa è più stretta al centro e più larga ai lati, come mostra il disegno sotto.



In sintesi si possono distinguere tre zone: quella principale a cui appartiene l’oggetto guardato che è la zona di punti singoli visti nelle tre dimensioni, che è più stretta al centro e più larga ai lati; la zona di disparità crociata, a cui appartengono gli oggetti più vicini del punto di vergenza, con due immagini distinte per ogni oggetto, in cui l’immagine di destra rappresenta ciò che vede l’occhio destro; infine la zona della disparità non crociata, a cui appartengono gli oggetti più lontani del punto di vergenza, con due immagini distinte per ogni oggetto, in cui l’immagine di destra rappresenta ciò che vede l’occhio sinistro.

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La macchia

Uno dei concetti che dipende in gran parte dalla fisiologia dell’occhio, è quello di acuità visiva. Esistono diversi tipi di acuità visiva, quella che interessa ai pittori è quella che se guardiamo una parola della pagina che stiamo leggendo, per vedere la parola accanto dobbiamo spostare lo sguardo su essa, altrimenti la vediamo ma non riusciamo a leggerla. Nella retina ci sono tre strati, procedendo dall’interno dell’occhio verso l’esterno il primo è fatto dalle cellule ganglionari, il secondo dalle cellule bipolari, il terzo dai bastoncelli e dai coni, che sono i fotorecettori che trasformano il segnale luminoso in segnale chimico ed elettrico. La luce per arrivare ai fotorecettori deve attraversare i primi due strati, solo in corrispondenza della fovea le cellule degli strati precedenti si inclinano per permettere alla luce di arrivare direttamente ai fotorecettori. Per questo motivo la luce arriva direttamente ai fotorecettori soltanto al centro della fovea.

All’inizio del processo della visione c’è un fenomeno di convergenza e questa interessa soprattutto i bastoncelli, cioè un gran numero di bastoncelli si collegano ad un solo nervo ottico, in media cento bastoncelli si collegano con un nervo ottico. La visione dovuta ai bastoncelli non è dettagliata soprattutto per questo fenomeno di convergenza. La visione dettagliata è dovuta ai coni perché il rapporto tra coni e nervi ottici e quasi uno a uno, ad un nervo ottico è collegato un cono. Quest’ultimi sono concentrati soprattutto nella fovea, nel centro della retina, mentre i bastoncelli all’esterno della fovea. Il disegno seguente è un grafico della distribuzione dei coni e dei bastoncelli nella retina:



Se noi mettiamo a confronto la linea rossa dei coni di questo grafico con il grafico dell’acuità visiva ci accorgiamo che sono molto simili.

Siccome la fovea ha un diametro di circa mezzo millimetro, corrispondente ad un angolo di solo un grado, tutto ciò significa che l’uomo ha un campo visivo molto ampio, circa centosessanta gradi, ma dettagliatamente vede solo il centro di esso, il centro del campo visivo, per l’ampiezza di solo un grado, corrispondente all’ampiezza coperta dalla fovea. Lo ripeto: l’uomo ha un campo visivo molto ampio, ma di tutto ne vede solo l’ampiazza di un grado. Nessuno immagina, finché non lo sperimenta, che noi vediamo attraverso una finestra così piccola. La tavola seguente chiarisce meglio quanto detto:


Se guardiamo il centro, le lettere periferiche per essere lette debbono essere più grandi. Nella prospettiva binoculare questo si traduce che man mano che ci allontaniamo

dal punto guardato vediamo oggetti sempre più grandi, per esempio, in un paesaggio ai margini del campo visivo vediamo solo la divisione tra cielo e terra, che sono gli oggetti più grandi. Questo vuol dire che il centro viene enfatizzato dalla prospettiva binoculare attraverso la ricerca del dettaglio, fatto di piccole macchie, mentre la periferia è fatta di sagome sempre più grandi dove le informazioni sugli oggetti diminuiscono.

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Il colore

La visione del centro, dovuta alla fovea, si chiama fotopica, cioè fatta di colori e di fini dettagli, mentre la visione periferica, dovuta ai bastoncelli, si chiama scotopica, acromatica e sensibile soprattutto alla luminosità e al movimento. Volendo possiamo paragonare la visione al semaforo, il rosso corrisponde a ciò che è fuori del campo visivo e che non vediamo, il giallo alla visione periferica col significato di attenzione e il verde alla visione centrale.

La struttura dell’occhio suggerisce che la visione centrale è colorata, mentre la visione periferica è in bianco e nero. Intanto bisogna dire che qualche cono c’è anche in periferia e per dare una risposta bisogna cercare di capire anche il software, cioè i coni e i bastoncelli danno segnali su singoli punti però noi non vediamo a punti perché c’è un software che riempie gli spazi vuoti: dobbiamo cercare di capire come la corteccia visiva riempie questi spazi non rilevati dai coni. Questo è possibile perché nella retina c’è un punto dove mancano i coni e i bastoncelli, è il punto in cui passano i nervi ottici e si chiama punto cieco, oppure disco ottico.

Noi non lo vediamo perché il cervello lo riempie, per vedere come, facciamo il seguente esperimento.

In una striscia di carta disegniamo un cerchio e una croce come nella figura sotto:



Chiudiamo l'occhio destro e col sinistro fermiamo lo sguardo sulla croce; muoviamo lentamente il cartoncino verso di noi; ad un certo punto vedremo scomparire il cerchio nero e, se continuiamo ad avvicinare il cartoncino, lo vedremo riapparire.

Disegniamo ora una linea, nel modo rappresentato nella figura seguente; ripetendo l'esperimento:

ti accorgiamo che quando il cerchio scompare, la linea appare completa: il cervello "riempie" il punto cieco, estrapolando dall'immagine che lo circonda; questo è il motivo per cui normalmente non ci si rende conto della sua presenza.

Tutto ciò ci fa capire che la visione periferica, corrispondente alla parte della retina dove sono presenti pochi coni è colorata dal software, il cervello, con un processo di interpolazione. Interpolare significa calcolare il valore di un punto per stima, in base al valore noto di due punti tra cui il punto è compreso. Nel nostro caso, il software attribuisce al punto scoperto lo stesso valore dei punti noti che lo circondano. Attraverso questo processo, i pochi coni della visione periferica, riescono a colorare le forme semplificate degli oggetti che ci circondano. Quindi possiamo distinguere una zona centrale dove il colore è saturo, forte, da una zona periferica, dove il colore è meno saturo e meno contrastato, perché dovuto a pochi coni.

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Il disegno

Nel 1952 Kuffler riuscì a stimolare, con dei pennelli di luce puntiforme le singole cellule della retina e a registrarne l’attività attraverso dei microelettrodi piazzati nelle immediate vicinanze delle stesse. In questo modo fu possibile capire che queste cellule sono attive al buio, sono attraversate da una corrente elettrica che la luce modula. Le cellule ganglionari, che costituiscono lo strato più interno della retina, rispondono ad una porzione centrale, che se stimolata, determina un aumento o una diminuzione della frequenza di scarica ed una periferia che si comporta in modo opposto.



Come si vede dal disegno, le cellule ganglionari hanno un centro ed una periferia, che hanno campi recettivi opponenti, cioè se il centro accentua la sua attività, la periferia la reprime. Esse sono di due tipi a centro ON e periferia OFF, oppure a centro OFF e periferia ON. Esse sono presenti nella retina in ugual misura e sembra che lavorano in parallelo costituendo due sistemi indipendenti. Prendiamo in considerazione le cellule a centro ON, per le altre vale lo stesso discorso invertendo i campi ON con OFF. Se con un pennello di luce si stimola il centro ON, la periferia OFF risponde reprimendo la corrente di scarica, cioè inibisce il segnale. Al contrario stimolando nello stesso modo la periferia OFF, il centro ON inibisce il segnale. Stimolando sia il centro che la periferia contemporaneamente con una luce diffusa non c’è nessuna risposta da parte del sistema, la corrente di scarica rimane invariata al centro come in periferia. Il sistema per rispondere deve avere un contrasto tra il centro ON e la periferia OFF. Ciò è chiarito meglio dal disegno seguente:


Ciò ci fa capire che tutto il sistema è fatto in modo tale da mettere in evidenza i contorni, non delle forme degli oggetti ma delle macchie. La parola contorno richiama alla mente la parola disegno, in questo caso il disegno non contorna gli oggetti bensì le macchie di colore.

Il disegno non deve essere inteso come limite degli oggetti, ma come forma di una macchia. Infatti la visione non è fatta di contorni ma di salti. Il nostro sguardo salta da un punto all’altro dell’oggetto osservato soffermandosi nei punti più significativi, allo scopo di una possibile difesa.

Per esempio, l’osservazione di un dipinto non avviene seguendo con lo sguardo i contorni delle forme dipinte, questa è un’operazione intellettuale che si fa quando si copia un oggetto: voluta e costruita dal soggetto non spontaneamente. Osservando un quadro, lo sguardo salta dagli occhi alle mani, da queste ai piedi, ritorna alle testa, per esempio all’orecchio sinistro, poi alla parte in movimento del vestito, di nuovo alla mano, sull’anello, e così via in una sommatoria di particolari.

Si capisce meglio quanto detto osservando la seguente figura.



I punti bianchi sottolineano le zone più esplorate dall'occhio durante l'osservazione del quadro.

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Le immagini sono state ricavate dal sito “anisn.it”


Nivenezia@live.it

Continua……………………………..........................................................................